Intervista Foodmarkers

Ciao Antonio, ci racconti come ti sei avvicinato al mondo della cucina?

Sono praticamente figlio d’arte la famiglia di mia mamma con a capo mio zio, avevano sul lungo mare della città dove sono nato (Torre del Greco) una pasticceria , gastronomia che gestivano in famiglia. Quindi ancora piccolissimo sono stato invogliato dai profumi , dai sapori delle infinite eccellenze del mio territorio, a cui sono da sempre legato e fortemente ispirato.

Il tuo percorso professionale è costellato anche da cene di prestigio come quella per il presidente Michail Gorbačëv al quirinale di Roma nel 1990, e quella per il presidente Bill Clinton del 1994, ci racconti qualcosa in più?

Erano anni particolari per il mondo della ristorazione, tutti stavamo acquisendo la consapevolezza che la cucina italiana poteva dimostrare al mondo il suo valore. Io da giovane aspirante chef, avevo voglia di imparare dai maestri dell’ epoca e grazie a questa mia spiccata caparbietà mi sono ritrovato a cucinare il maialino cotta a bassa temperatura per il presidente russo, oggi un mast della cucina ma se pensiamo che si trattava del 90….un capolavoro. Mentre per il presidente americano, gnocchi alla sorrentina e frittelle di alghe marine. Sono state esperienze bellissime, ancora oggi mi vengono i brividi a raccontare quelle giornate che hanno segnato per sempre il mio esse cuoco, il mio personale percorso. In cucina non contano i giorni che hai trascorso per fare esperienza, ma contano invece con chi hai condiviso l’esperienza.

Ci racconti le tue esperienze e cosa porti dietro di esse?

Le mie esperienze professionali sono simili a quelle di tanti altri, le lezioni dei maestri, l’iniziazione alle gerarchie, le esperienze in giro per l Italia, e grazie a questo mio girovagare che ho acquisito la consapevolezza che la cucina regionale Italiana da sola fa il 70 % del patrimonio culturale di uno chef . Le mie esperienze mi hanno fatto amare il verbo cucinare, scoprire nuovi prodotti, provare nuovi sapori. Accorgersi che grazie all’esperienza, il tuo lavoro traccia sentimenti su piatti bianchi. Provare vere soddisfazioni in quello che si fa, che ami, cucinare è il verbo delle emozioni. Si può definire Chef colui che ha fatto delle proprie esperienze una scuola di vita.

Nel tuo girovagare hai aperto anche 3 locali in Piemonte, Toscana, Campania, che esperienze sono state?

Sono state tre diversi momenti della mia vita, della mia crescita professionale. Il mio primo locale in Piemonte a soli 20 anni mi ha insegnato che sbagliando si impara che se vuoi ottenere qualcosa non ci sono scappatoie. La Toscana a 24 anni mi ha regalato la consapevolezza che da solo non puoi arrivare ovunque che se impari a delegare, a fidarti dei tuoi collaboratori puoi ottenere grandi risultati. La Campania è stato un tornare a casa, in tutti i sensi, il cuore mi diceva di tornare dove tutto aveva avuto inizio. Il regalo più grande che uno chef si possa fare è tornare nella sua terra di origine è omaggiarla della sua esperienza quando regali tuo sapere, regali un pezzo della tua vita professionale che troverà nuova linfa.

Ora ti occupi di consulenza, ci spighi meglio la professione di Chef consultant?

Nella ristorazione moderna credo, sia indispensabile per ogni locale che si rispetti, confrontarsi con esperti del settore per far cresce la propria azienda in qualità e profitti.
Uno Chef consultant, oltre a proporre consulenze e formazione per l’avviamento e lo start up delle nuove attività nel settore ristorativo e alberghiero, si occupa del rilancio e la riqualificazione dei locali già operativi.

Com’è cambiato il mondo della ristorazione cucina con il passare degli anni?

Se penso ai mie inizi, quando nelle cucine si prendeva come esempio assoluto la scuola Francese, ti lasciavano toccare le materie prime di una certa importanza, solo dopo aver pelato quintali di patate. Ho la netta sensazione che oggi è fortemente cambiato il mondo della ristorazione, oggi con 3 giovani promettenti, fai il lavoro che una volta era esclusivamente dello chef, questo ti permette di avere più persone formate, meno rischi per la struttura di soffrire la mancanza di un cuoco nello specifico.

Un consiglio a chi vuole entrare nel mondo della ristorazione?

Se intendi, persone disposte ad investire il loro denaro, di proporzionare i sogni alle reali capacità economiche, di rivolgersi ad eccellenti esperti per la perfetta messa appunto e ottimizzazione di spazi per il lavoro e per l’ospitalità.
Ai giovani, invece, dico sempre che fare il cuoco è più complicato di quello che sembra. L’unica strada che consiglio, di essere sempre se stessi. Vivendo fino in fondo lo spirito dei loro sogni. In cucina invece di pensare a non deludere gli altri, di pensare a non deludere se stessi. In cucina ammiro colui che sa aspettare, che non ha fretta di arrivare, che prende il lavoro seriamente, che rispetta gli altri e da per scontato che nella vita non si smette mai di imparare. Per sapere cosa deve avere di speciale un piatto, dico sempre, mettetevi nei panni di chi lo riceve.

Oggi vivi e lavori in Piemonte, ci racconti il piatto della loro tradizione che più ti ha colpito e perché?

Il Piemonte e una regione ricchissima di eccellenze alimentari e gastronomiche con i relativi piatti, fra questi più che un piatto quello che mi ha più colpito è un ingrediente, il riso. Arrivando in Piemonte a soli 18 anni ho scoperto un mondo che non conoscevo fatto di risaie (il mitico mare a quadretti), la grande varietà di riso, la moltitudini di ricette, per citarne una, forse la più importante, il “principe” della cucina piemontese, il risotto, oggi elaborato e consacrato dai più grandi chef del panorama mondiale.

Ma da buon campano qual è il piatto della memoria?

Anche qui, più che ad un piatto sono legato ad un ingrediente, il “ pomodorino del piennolo”, era la mia merenda pomeridiana, pane cafone e pomodorini schiacciati, per non parlare del mitico “scarpariello”, a casa nostra si faceva esclusivamente con pomodorini dello “spuncillo”, pasta di Gragnano e basilico dell’ orto della nonna. Ogni volta che lo preparo mi torna in mente un ricordo che descrive sensazioni ed emozioni fissate nel cuore.

Qual’è il tuo sogno nel cassetto?

Sogno un posto dove poter cucinare per pochi ospiti, vorrei farlo raccontando la mia cucina con parole sussurrate dagli anni passati ai fornelli, condividendo quelle sensazioni che vivono ancorati ai mie ricordi. Il mio più grande successo da cuoco, è sapere che qualcuno pensandomi ha sorriso.